L’Otto alla PARI #6 – Quale ruolo ha la cultura organizzativa?

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Il mercato del lavoro della Provincia di Venezia non è esente da segregazioni di genere: divario occupazionale, concentrazione delle donne in alcuni settori (spesso quelli meno retribuiti), bassa presenza femminile nelle posizioni apicali nonostante un’elevata quota di laureate, gap orario con minor numero di giorni retribuiti, forte ricorso al part time, contratti temporanei o stagionali. Il risultato? Un gender pay gap complessivo del 33%.

La certificazione per la parità di genere in questo contesto si configura come un’opportunità che consente agli imprenditori di valorizzare e beneficiare pienamente della componente femminile delle proprie risorse umane, avviando un percorso di trasformazione dell’azienda a partire da una nuova cultura imprenditoriale e organizzativa. La certificazione, infatti, mette al centro da un lato la formazione continua sia della governance sia dei collaboratori; dall’altro la misurazione tramite KPI per l’assesment e per il raggiungimento degli obiettivi dei piani di miglioramento.

Ma cosa spinge le imprese ad avviare questo percorso e quali sono i risultati attesi? Sicuramente i benefici previsti dalla legge (sgravi, acquisizione di punteggi nelle gare europee, eccetera) costituiscono un incentivo significativo, ma le imprese intervistate nell’ambito della ricerca sugli aspetti economici del GPG hanno anche focalizzato l’attenzione su altri aspetti.

In primo luogo, la certificazione offre un vantaggio competitivo in quanto il mercato è oggi molto più attento a tali aspetti e i committenti richiedono sempre più frequentemente garanzie ai propri fornitori nell’applicazione di comportamenti inclusivi ed equi.

In secondo luogo, introdurre e comunicare esplicitamente criteri di parità di genere a partire dalla fase del recruitment e poi nella gestione complessiva delle risorse umane – percorsi di carriera, politiche retributive, welfare, genitorialità, linguaggio e attenzioni ai rischi di abuso e aggressione – consente sia di migliorare la propria employee attraction and retention e il proprio employer branding in una fase storica in cui in cui la difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro è amplificata dalla reale mancanza di candidati e da una cultura del lavoro delle giovani generazioni molto più attenta proprio agli spetti dell’equità, attenzione alle persone e alle diversità, alle possibilità di crescita e formazione.

Infine, gli intervistati hanno anche sottolineato la dimensione etica, della responsabilità sociale e del loro impegno verso gli stakeholder del territorio nella consapevolezza che trasmettere ai propri collaboratori conoscenza, informazione e formazione sui temi della parità può contribuire a un cambiamento complessivo della società perché ogni lavoratore potrà portare una diversa visione in famiglia e più in generale nella propria comunità di riferimento.

All’interno di tale nuova cultura organizzativa che la certificazione aiuta a costruire e implementare, la misurazione dell’eventuale divario retributivo sia in termini di equal pay for equal work che di total compensation, spinge le imprese a lavorare su una diversa definizione di criteri e strumenti per: a) mappare ruoli e funzioni, e valutare il contributo dei singoli nell’organizzazione; b) valutare le performance; c) definire le progressioni di carriera.

Dalle interviste emerge come frequentemente, anche nelle aziende più strutturate, tali strumenti fossero del tutto assenti e come molto spesso non esistessero delle vere e proprie politiche retributive basate su criteri oggettivi e comuni, quanto piuttosto singole negoziazioni o il susseguirsi di applicazioni di contratti diversi nel corso degli anni che portavano a disparità significative. Ancor più risultano poco diffuse valutazioni delle performance strutturate e periodiche, lasciando quindi spazio a criteri, basati ad esempio sul tempo del lavoro, che andavano a penalizzare proprio le donne sia dal punto di vista dei salari che delle progressioni di carriera.

La questione del GPG, quindi, non è solo legata alla dimensione degli stereotipi di genere, ma anche alla cultura organizzativa che richiede nuove competenze, nuovi strumenti e nuove dimensioni di analisi.

Silvia Oliva

Università degli Studi di Padova

Ricercatrice di Istituto Veneto per il Lavoro

 

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Aperifocus | 23 settembre

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